Pagamenti – Termini e Condizioni
Ad inizio maggio qui al Bric Della Vigna era solo un frastuono di pioggia. Ha piovuto a lungo e in modo fitto. L’acqua ha cercato strade facili e, dove il terreno era più esposto, questo ha lasciato piccoli segni che si notano ancora oggi. Nella maggior parte dei casi nei pascoli mancava uno strato di erba sufficiente a proteggere e a rallentare la corsa dell’acqua. È una scena semplice, ma per noi significativa: racconta cosa accade quando il prato non ha avuto energie e modo di riprendersi.
Quando diciamo “pascolo olistico” non intendiamo una ricetta complicata. Parliamo di un modo di gestire il prato e gli animali che mette insieme tre idee chiare: stare poco, spostarsi spesso, lasciare sempre un po’ di erba. Questo consente al terreno di non restare nudo, di assorbire meglio l’acqua e di tornare a crescere con più uniformità. Significa anche distribuire in modo più omogeneo le deiezioni, evitando quelle macchie eccessive che rovinano il foraggio nelle zone più colpite e lasciano altre zone quasi intatte.
Il pascolo olistico funziona se si rispettano i tempi dell’ecologia dell’ecosistema, suolo in primis. Non è una corsa a sfruttare ogni filo d’erba; è un lavoro più complesso: entrare quando l’erba è pronta, uscire prima di “radere” troppo, rientrare solo quando il prato ha ricostruito la sua copertura. In mezzo c’è un elemento semplice ma decisivo: lo strato di erba che resta al suolo dopo il passaggio.
Poi c’è l’altra scena, quella di ogni mattina. Camminiamo tra gli erbai prima che il lavoro inizi davvero. Guardiamo l’altezza dell’erba, sentiamo sotto la suola se il terreno cede un poco o resta duro, notiamo se ci sono insetti in movimento o se tutto è fermo e silenzioso. Non è un rito, è il nostro modo di leggere il campo senza filtri. È da queste due immagini, la pioggia che scorre e l’osservazione tra i prati – che vogliamo partire per parlare di pascolo olistico e agricoltura rigenerativa.
Questa è la teoria in parole povere. La pratica è un’altra cosa.
Bric Della Vigna infatti oggi non è ancora un azienda agricola rigenerativa. Abbiamo iniziato il percorso ma questo non fa di noi ancora un azienda davvero definibile tale. Siamo un’azienda agricola “naturale”, nel senso più concreto e onesto del termine. Osserviamo, ragioniamo e architettiamo scelte ecologicamente e economicamente sostenibili. Non possiamo raccontare e promettere risultati che non abbiamo o raggiungeremo. Raccontiamo quello che vediamo e quello che riteniamo sensato provare, un passo alla volta.
Non iniziamo dai problemi, iniziamo dall’osservazione. Ogni giorno annotiamo pochi elementi, sempre gli stessi, per avere un filo che unisce le settimane.
Osserviamo la copertura: ci chiediamo quanta erba resta visibile dopo il passaggio e se il terreno risulta protetto. Osserviamo il ricaccio: se l’erba ritorna in modo uniforme o se alcune zone restano indietro. Osserviamo i segni lasciati dagli animali: dove si sono fermati di più, dove hanno camminato una volta sola e dove hanno insisto. Osserviamo il comportamento: se cercano più spesso l’ombra, se tornano volentieri in certe aree, se evitano altre. E, quando capita la pioggia, osserviamo come l’acqua si muove: se tende a correre in superficie o se si assorbe con calma.
Questa lettura non richiede strumenti speciali. Richiede intenzione, attenzione, perseveranza e coerenza. È il nostro primo modo di portare dentro l’azienda la stessa trasparenza che chiediamo a chi legge. A volte ciò che vediamo non ci piace; altre volte, in silenzio, vediamo piccoli segnali positivi: qualche zona che reagisce meglio, un’erba che riprende con più forza una settimana prima del previsto, un tratto che rimane più stabile dopo un rovescio.
Il pascolo olistico, come lo intendiamo, non si accende con un interruttore. C’è bisogno di formazione, organizzazione, progettazione; di passaggi più brevi, di spostamenti più frequenti e di soste calibrate. In alcuni punti serve riposo, in altri serve alleggerire il calpestio, in altri ancora serve evitare il passaggio quando il terreno è bagnato. In prospettiva, per farlo bene, servirebbe anche poter abbeverare gli animali in campo, in modo da non condizionarne i movimenti con percorsi obbligati.
Non possiamo promettere che tutto questo partirà domani, perché ogni scelta ha bisogno di tempo, persone, mezzi e consenso. Ma possiamo disegnare, passo dopo passo, un modo di stare dentro il campo che rispetti i tempi dell’erba e del terreno. È quello che stiamo provando a fare: impostare una rotta credibile, spiegabile e visibile.
Nei mesi scorsi abbiamo camminato spesso gli stessi percorsi. Abbiamo imparato che, in alcune aree, il terreno tende a diventare duro se si insiste troppo e se si rientra quando non è pronto. Abbiamo imparato che, dove resta scoperto, il terreno si scalda prima, si asciuga troppo in fretta e poi richiede tempo per ripartire. Abbiamo imparato che certe arbustive tornano più facilmente dove abbiamo lasciato buchi, mentre arretrano dove il manto erboso rimane continuo.
Queste non sono verità universali; sono appunti di campo. Ci dicono che ha senso puntare a turni più brevi, a spostamenti che distribuiscano meglio il morso e, soprattutto, a rientrare quando il prato è pronto, non quando è comodo per noi. Ci dicono che lo strato di erba lasciato dopo il passaggio è il miglior alleato che abbiamo contro l’erosione e contro la perdita di sostanza con la pioggia. Ci dicono che la scelta di evitare il bagnato nei tratti più sensibili non è una cautela eccessiva: è una misura concreta per non rovinare in un’ora quello che il prato costruisce in settimane.
In pratica “stare poco” significa non lasciare gli animali abbastanza a lungo da portare il prato vicino a una soglia inferiore ai 2/5 della lunghezza del filo.
“Spostarsi spesso” significa distribuire il morso in modo più omogeneo, senza concentrare tutto in poche aree.
“Lasciare sempre un po’ di erba” significa chiudere il passaggio quando ancora si vede una copertura chiara a terra.
Queste tre idee, insieme, fanno la differenza.
Non si tratta di fare più fatica per principio. Si tratta di ricordare che l’erba non è solo cibo, è anche protezione per il terreno. Quello strato di erba che rimane dopo il passaggio frena l’acqua, riduce il calore diretto sul terreno e aiuta la vita che non vediamo – radici e piccoli organismi – a lavorare con un po’ più di continuità. Non serve dirlo in termini complicati: basta guardare cosa succede dopo una pioggia quando il prato è rimasto coperto e quando, invece, è stato portato troppo in basso.
Nei nostri appunti di campo teniamo sempre a mente pochi controlli, facili da ripetere e da spiegare:
Questi controlli non sostituiscono tutto il resto, ma ci guidano. Permettono di decidere in fretta, sul posto, senza schemi complicati.
Anche qui preferiamo pochi segni chiari, facili da condividere:
Questi tre indicatori sono la base di racconto che vogliamo condividere.
Chi ci segue deve poter leggere qualcosa di vero e di vivo. Non servono frasi grandi, serve lucidità, verità e discernimento. Oggi no
n siamo rigenerativi, ma per questo abbiamo scelto di parlare e di iniziare a provare ad impostare un pascolo olistico. Perché riteniamo che questo modo di lavorare – semplice nei principi e serio nella pratica – possa fare bene a noi, ai nostri animali, come al suolo e al nostro paesaggio. Lo scriviamo adesso perché questo è il momento giusto per mettere ordine nelle idee; e perché crediamo che, nel tempo, questa trasparenza aiuti anche dentro l’azienda a prendere decisioni migliori.
Non si tratta quindi di convincere a parole, ma di disseminare elementi chiari: come ci muoviamo, perché lo facciamo, che cosa cambia a terra. Un domani, quando dovremo scegliere, ci sarà un percorso pubblico a cui tornare.
“Architettare” per noi vuol dire tenere insieme osservazioni, ipotesi e azioni piccole, verificabili. Vuol dire immaginare
percorsi di spostamento più semplici, individuare aree dove ha senso insistere e aree dove è meglio alleggerire, capire dove conviene fermarsi in anticipo e dove, invece, si può concedere qualche giorno in più. Vuol dire, in prospettiva, pensare a come portare acqua più vicino agli animali senza stravolgere gli spazi e senza creare nuovi problemi.
In questa fase non annunciamo progetti già avviati. Mettiamo in fila considerazioni pratiche e le testiamo quando possiamo. Learning by doing, anche sbagliando.
Il valore, qui, sta nel rendere visibile il percorso: cosa c’era prima, cosa abbiamo fatto, cosa è cambiato. È un lavoro lento, ma è l’unico che possiamo fare con serietà.
Se questo tema ti interessa, puoi approfondire due passaggi del nostro percorso: cosa intendiamo per benessere animale in chiave rigenerativa e quali sono, per noi, i processi della rigenerazione. Sono pagine che danno contesto a quanto raccontiamo qui e spiegano perché teniamo insieme animali, prati e paesaggio nella stessa conversazione.
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